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Sullo scrivere di musica ai tempi dell’internet.(Di Bastonate)

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Appeal To Reason
view post Posted on 30/10/2013, 20:06     +1   -1




http://bastonate.wordpress.com/
Max Stefani ha diretto il Mucchio fino a qualche anno fa, poi c’è stata una separazione dolorosa che ha dato origine a un periodo burrascoso (eufemismo) in seguito al quale stanno ancora volando stracci in pubblico. Da allora ha co-diretto una rivista chiamata Suono, ha fatto uscire una specie di autobiografia intitolata Wild Thing e fondato una rivista di nome Outsider, nata come una specie di Internazionale del rock (articoli tradotti dall’inglese eccetera), recentemente tornata agli onori delle cronache (gli onori delle cronache sono venti stronzi su facebook, me compreso, che parlano di queste cose) per aver copiato e incollato pezzi altrui in una storia di copertina su Fiumani. Quello che leggete sopra è un estratto dall’editoriale che accompagna il numero di novembre. Anche le parti in rosso, qui sotto, vengono dall’editoriale. È un po’ stupido mettersi lì a sollevar questioni, ma chi me lo impedisce?

E poi c’è da aggiungere che la carta stampata per chi è sopra i 40 anni resterà sempre qualcosa di bello e insostituibile, perché sfogliare un giornale è un’emozione impagabile. Forse le giovani generazioni ne fanno tranquillamente a meno, ma anche i ragazzi che scrivono su web, o hanno blog, più o meno visti, sotto sotto, si sentono sempre delle contro figure.

Prima cosa: cosa significa contro figura? È come dire controfigura? È controfigura scritto con l’iPhone? Significa figura contro? Nel caso, mi sento una figura contro mentre scrivo queste righe? Risposta: no, non sono contro niente. Probabilmente non sono nemmeno contro questo editoriale in particolare. Come si fa a essere contro una cosa del genere? Non presuppone intelligenza? Poco importa. Mi sento la controfigura di qualcuno? No. Mi piacevano certe cose che scriveva Zingales. Non tutte, alcune. Luca Frazzi mi ha sempre fatto impazzire, ma non mi sento il Luca Frazzi dell’epoca di internet. Mi fa schifo un sacco della musica che ascolta. Conta? Non lo so, sto vaneggiando a cazzo.

Seconda cosa: compro riviste di musica e saltuariamente ci scrivo, sono sotto i quaranta, non molto sotto i quaranta ma un po’ sì. Probabilmente sono io ad incaponirmi, ma sfogliare un giornale è un’emozione pagabilissima. Costa sei euro.

Terza cosa: le riviste italiane hanno mollato armi e bagagli e si sono buttate su un pubblico di nostalgici. Qualcuno resiste ma i segnali sono perlopiù sconfortanti. Mi piacerebbe dire che è un fuggi fuggi generale, ma non è così: i nuovi progetti editoriali del Mucchio e di Rumore tirano in un’altra direzione, e forse a torto, ma stamattina dovendo scegliere una rivista da comprare ho preso il Mucchio e lasciato Blow Up sullo scaffale. Errore mio senza dubbio. Qualcuno si rifugia ancora nella sacca dei contributi statali, qualcuno no. Cerco di non giudicare questa cosa: non mi infastidisce che i miei soldi finanzino qualche rivista di musica, dato che finanziano quotidiani che non leggo e riviste di caccia. Mi piacerebbe che alcuni di quelli che parlano e si lamentano della situazione pendente, e con l’altra mano intascano contributi statali, s’infilassero un ombrello su per il culo e lo aprissero, ma capisco che sia limitante star qua a dire che odio quelli che si lamentano.

Basta notare come soffrono molti vecchi critici costretti a limitarsi ai loro blog. Si sentono come animali in gabbia. E il fatto di lavorare gratis, dopo l’iniziale emozione di leggersi sullo schermo, alla fine non basta più.

Quarta cosa: non so quali siano i sentimenti che animano i vecchi critici che aprono un blog, ma finché fanno come Cilìa e Guglielmi (pubblicando cioè i loro vecchi pezzi online, gratis e consultabili), diocristo BEN VENGANO. Lo facciano anche gli altri vecchi critici, altro che animali in gabbia. Rimettano online tutto quello che han pubblicato su carta negli anni ottanta e novanta.

Detto che questi ragazzi scrivono bene e si sono prodigati nello studio, purtroppo hanno una conoscenza del rock basata solo sui libri e ovviamente sull’ascolto dei dischi. È una conoscenza in un certo senso fredda, distaccata, un po’ come un chirurgo che si laurea con il massimo dei voti e non ha ancora visto un vero corpo umano. Io ad esempio ho visto i Led Zeppelin sul palco nel 1972, ho vissuto a Londra, a Parigi, ho girato gli States in lungo e in largo incontrando cani e porci, andandoci a cena, condividendoci esperienze, donne. Lo stesso vale per Giancarlo Trombetti o Alberto Castelli. Insomma, pur vivendo ai confini dell’impero, abbiamo una conoscenza del rock in tutti i suoi numerosi aspetti, anche quello reale.

Quinta cosa: Max Stefani, che è vissuto a Londra e ha girato gli States (credo siano gli Stati Uniti) in lungo e in largo quasi più di Beppe Severgnini, NON HA IDEA DI COSA SIGNIFICHI IL TITOLO DEL LIBRO CHE HA SCRITTO. Scusate lo stampatello ma quando l’ho scoperto ho passato sei giorni per far pace con questa cosa. Se invece di vivere a Londra si fosse prodigato nello studio, probabilmente ora saprebbe che Wild Thing non significa “pensare selvaggio”.

Sesta cosa: per limiti anagrafici non ho mai capito IL ROCK, e spessome ne vanto in pubblico. Quel poco che ho capito me lo fa identificare come una specie di oppio dei dementi e/o un generatore di ciccioni alcolizzati e stempiati che passano il tempo a customizzare le loro Harley di merda e ascoltare le cover band alla birreria del paesello.

Si è svolto a fine settembre il MEI di Faenza. È sempre di più un baraccone, ma è comunque l’unica cosa che si costruisce intorno alla nostra musica, indie o meno che sia. Come al solito una valanga di premi dei quali ci si scorda il giorno dopo.


Settima cosa: puoi tranquillamente dirigere ed essere editore di una rivista di musica in Italia e pensare che il MEI sia “l’unica cosa che si costruisce intorno alla nostra musica”. Bisogna comunque essere onesti e citare tra le uniche cose costruite intorno alla nostra musica, assieme al MEI, anche il palco Puglia Sounds allo Sziget e il festival di Manuel Agnelli.

“Onda Rock” ha debuttato intorno al 2001. Mi sembra anche di ricordare che intorno al 2004-2005 mi contattarono per trovare una sorta di collaborazione. Già allora era chiaro che bisognava puntare sulla parte web che alla lunga avrebbe ucciso la carta stampata. Se il Mucchio dieci anni fa avesse avuto la lungimiranza di fare una “fusione” con “Onda Rock” (o addirittura in proprio perché le condizioni c’erano) oggi non starebbe morendo tra l’indifferenza generale… Basta pensare a tutto il materiale scritto dal Mucchio in 35 anni, potenzialmente disponibile con un solo clik!

Ottava cosa: non è obbligatorio “puntare sulla parte web”, dio di un dio. Se vuoi fare una rivista di carta, fai una rivista di carta. Se vuoi fare Onda Rock, fai Onda Rock (una rivista di carta pubblicata online), sentiti una controfigura, prenditi il premio del MEI e tanti saluti. Sii parte di quel mondo. Se il Mucchio si fosse fuso con Onda Rock nel 2005 starebbe ugualmente di merda ma in modo molto più web. La verità è un’altra: internet, a voialtri, non vi ci vuole.

Chiaro che “Onda Rock” (come anche “Sentire Ascoltare” o “Il Sussidiario”) sono un ennesimo problema per le riviste musicali cartacee. Come combattere qualcosa di ben fatto e gratuito che arriva un mese prima? Non è un caso che “Outsider” sia stato concepito proprio come non vincolato alla stretta attualità.


Nona cosa: Se non siete in grado di “combatterlo” non avete credibilità come critici, e Onda Rock è l’ultimo dei vostri problemi.

Quasi tutti questi baldi giovani invece non hanno mai attraversato la frontiera. Tutti hanno come mito Lester Bangs ma non hanno un briciolo della sua irriverenza e provocazione o umorismo. Quelle caratteristiche che gli hanno sempre risparmiato le critiche che avrebbe meritato quando, pure lui, prendeva le sue indimenticabili e inevitabili toppe… le nuove leve sono accademiche e credo che questo farà sempre la differenza.

Decima cosa: non ho mai trovato Lester Bangs, né la volontà di essere Lester Bangs, in nessuna delle persone che ho letto negli ultimi dieci anni su internet o carta. Mai successo. E io (contrariamente a Stefani, sembra) leggo moltissimo di musica. Forse qualcuno vuol provarci e non ce la fa, ma i più sono persone che hanno altre paturnie, probabilmente anche peggiori, e altri stili, probabilmente anche peggiori. Nessun Lester Bangs. Però ammetto di potermi sbagliare, e nel caso venite nei commenti e linkatemi qualcuno che scrive come se volesse essere Lester Bangs.

E basta. Più in generale è abbastanza dura avere a che fare con gente con l’età di tuo padre che continua a volerti insegnare quello che stai facendo. Quando ho iniziato a leggere di musica si diceva che i giornalisti musicali erano musicisti mancati col rosico: credo fosse frustrante. Ora noi dobbiamo convivere con l’idea che il blogger musicale sia un giornalista musicale mancato e col rosico. E quindi boh, fottetevi. Voi e le vostre riviste e i vostri progetti di sviluppare la parte web, il vostro bilancio certificato e tutto il resto delle cose a cui mettete mano. La roba che trovate su PopTopoi o Noisey o Stereogram o Spadrillas o Mestolate o Infinitext o quel che è (cito a caso e solo in Italia) è roba che non troverete mai sulle riviste perché un po’ non la volete un po’ non ci azzecca e un po’ non la meritate. E perché (nonostante continuiate a raccontarvela mensilmente nei vostri editoriali), da quando avete visto gli Zeppelin sul palco nel ’72 è cambiato –oltre alla musica- anche lo scrivere di musica, è cambiato in meglio, e continua a cambiare e a diventare migliore. Nonostante tutti i chiodi che continuate a seminare sull’asfalto voi che vi siete visti gli Zeppelin nel ’72, la vostra scrivania che inizia a cadere a pezzi e le vostre ultra-necessarie monografie del Bowie berlinese.
 
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